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Fuori le donne dalla politica!

Di Antonella Grippo

La mia misoginia non ha più alibi : deve forzare i confini della clandestinità. Venire allo scoperto. Farsi parola proferita. Al riparo da svenevoli balbuzie edulcoranti.

Del resto,  non è un mistero per alcuno il dato fragoroso che  l’altra metà del cielo si sia lasciata ormai derubricare ad un quarto scarso di tettoia. Ne è  prova inconfutabile  la disperante evanescenza del ceto politico femminile nostrano. Senz’arte né parte. Scadente, sciatto, incolore. Per nulla “eversivo”.

Esistono, ovviamente,  magnifiche eccezioni, che, in quanto tali, non rilevano.

Risulta difficilissimo, infatti, rinvenire traccia di quella rivoluzione molecolare , “minacciata” dopo l’avvento nel Palazzo di imbellettate quoticine rosa- shocking, più o meno refeRenziate o in  polvere di (cinque) stelle.

Maria Elena e Virginia, ad esempio, sebbene per motivi dissimili, sembrano aver  cannato alla grande. Incarnano, tragicamente, la parabola di una  malinconica disfatta. Per la semplicissima ragione di non sussistere. Politicamente.

Entrambe, a guardar bene, hanno spesso evocato i Poteri Forti, quali nemici giurati di qualsivoglia cambiamento. Certo, non deve essere stato agevole resistere all’offensiva di cassamortari, carpentieri, pensionati , piastrellisti, infermiere e benzinai, tradizionalmente inciuciati con il bicameralismo perfetto. Così come, alla cospirazione dei Nuclei a doppiaportaPortese Indesit (Figoriferi in odore di Wall Street).

Ragazze, non scherziamo.

Chi scrive non ha mai nutrito soverchio entusiasmo per la mistica dell’appartenenza di genere, quale criterio biologico per la selezione delle eccellenze in politica.

D’altro canto, non è che se produci ovociti, diventi, ipso facto, una statista. Tantomeno, la dissennata casualità genetica, che ti decreta “femmina”,  è in grado di prefigurare una tua, seppur vaga, contiguità con Rosa Luxemburg  o con Simone de Beauvoir. 

A meno che non si voglia professare la teoria  della superiorità razziale delle tube di Falloppio sullo sfigatissimo spermatozoo. Roba da  delirio eugenetico. Tentazione fascinosissima presso certo talebanesimo femmineo.

Non è un caso, infatti, che si possano chiamare “cretini” solo i maschi.

Se osi declinare al femminile, ti bollano come sessista . Resta il fatto, incontrovertibile, che se sei scema, ancorché titolare di patonza, resti scema. Checché ne pensi la Boldrini, convinta assertrice della procreazione assistita del neo-lessico di genere. La desinenza “a” non ci assolve da eventuali pallori neuronali. 

Intanto, i fatti , la nuda cronaca, s’incaricano di restituirci un quadro desolante.

La Boschi, per la quale avrei sfidato persino le malandatissime cozze rosicone, quelle con il punto G  sepolto nel 18 Brumaio di Karl Marx,  capaci di autoerotismo solo a bordo della nostalgìa hard dei Consigli di fabbrica di Porto Marghera, non merita supplementi di simpatia.

Neanche la difesa dall’assalto di frotte di cessette , issate su mocassini a tacco 4 quadrato, che si arrapano a leggere la Mazzantini. E che riescono a stanare , al netto del fiuto dei cani molecolari, financo le obliquità addominali di Franceschini.

Nessuna indulgenza . Del resto, la tentata riscrittura della Costituzione ha fruttato a Maria Elena la stessa audience che incassò  Luca Sardella , su Rai Uno, con la Fenomenologia della barbabietola molisana. 

Virginia, d’altro canto, non ha vergato sin qui pagine memorabili, nella vicenda repubblicana.

Sotto  sotto c’è sempre il rapimento estatico. Più che lo struggimento lirico di Karenina , nel senso di Anna, l’inutile candore delle eroine d’appendice di Liala. 

Lei è una gregaria romantica. Creatura che mima sublimi sbigottimenti. Altro che sommossa emancipante femminista! Mai un guizzo , uno starnuto di talento, un fiotto assertivo ! Un indizio di rudimento politico. Ad ogni buon conto, Gesù tramutava l’acqua in vino. Attitudine che il Nazareno deve aver mutuato da  Grillo. Stavolta , però,  è dura. Anche per uno come Beppe.

  La Raggi non strabilia : questo è il punto. Al netto delle sue innocenze , da intendersi in senso lato.

E pensare che, per lei,  avrei ingaggiato singolar tenzone persino con Roberta Lombardi, sospettata- a sua volta- di averle taroccato il volumizzante per capelli piatti , attraverso l’aggiunta di un micidiale lisciante (Carla Monteforte dixit).

Virgo e Maria Elena, in qualche modo, sono la gigantografia di una sfida persa. Che ci riguarda da vicino. E che convoca la biografia “femminista” di più generazioni. Dovevamo assaltare il cielo e, invece, ci siamo schiantate a bordo della nostra nuvola di cipria.

Non che i maschi  siano meglio. Anzi! Se non altro, però, si guardano bene dallo sventolare “il valore aggiunto testosteronico”. E come potrebbero, porelli…

Di qui, l’imperativo categorico : Fuori le donne dal Palazzo! Almeno fino a quando non decideranno di far fuori dalla sensibilità pubblica quel languido, ancestrale “femminino” “, così poco consono alla Parola laica e “neutra” della Politica.

La mia misoginia non ha più alibi : deve forzare i confini della clandestinità. Venire allo scoperto. Farsi parola proferita. Al riparo da svenevoli balbuzie edulcoranti.

Del resto,  non è un mistero per alcuno il dato fragoroso che  l’altra metà del cielo si sia lasciata ormai derubricare ad un quarto scarso di tettoia. Ne è  prova inconfutabile  la disperante evanescenza del ceto politico femminile nostrano. Senz’arte né parte. Scadente, sciatto, incolore. Per nulla “eversivo”.

Esistono, ovviamente,  magnifiche eccezioni, che, in quanto tali, non rilevano.

Risulta difficilissimo, infatti, rinvenire traccia di quella rivoluzione molecolare , “minacciata” dopo l’avvento nel Palazzo di imbellettate quoticine rosa- shocking, più o meno refeRenziate o in  polvere di (cinque) stelle.

Maria Elena e Virginia, ad esempio, sebbene per motivi dissimili, sembrano aver  cannato alla grande. Incarnano, tragicamente, la parabola di una  malinconica disfatta. Per la semplicissima ragione di non sussistere. Politicamente.

Entrambe, a guardar bene, hanno spesso evocato i Poteri Forti, quali nemici giurati di qualsivoglia cambiamento. Certo, non deve essere stato agevole resistere all’offensiva di cassamortari, carpentieri, pensionati , piastrellisti, infermiere e benzinai, tradizionalmente inciuciati con il bicameralismo perfetto. Così come, alla cospirazione dei Nuclei a doppiaportaPortese Indesit (Figoriferi in odore di Wall Street).

Ragazze, non scherziamo.

Chi scrive non ha mai nutrito soverchio entusiasmo per la mistica dell’appartenenza di genere, quale criterio biologico per la selezione delle eccellenze in politica.

D’altro canto, non è che se produci ovociti, diventi, ipso facto, una statista. Tantomeno, la dissennata casualità genetica, che ti decreta “femmina”,  è in grado di prefigurare una tua, seppur vaga, contiguità con Rosa Luxemburg  o con Simone de Beauvoir. 

A meno che non si voglia professare la teoria  della superiorità razziale delle tube di Falloppio sullo sfigatissimo spermatozoo. Roba da  delirio eugenetico. Tentazione fascinosissima presso certo talebanesimo femmineo.

Non è un caso, infatti, che si possano chiamare “cretini” solo i maschi.

Se osi declinare al femminile, ti bollano come sessista . Resta il fatto, incontrovertibile, che se sei scema, ancorché titolare di patonza, resti scema. Checché ne pensi la Boldrini, convinta assertrice della procreazione assistita del neo-lessico di genere. La desinenza “a” non ci assolve da eventuali pallori neuronali. 

Intanto, i fatti , la nuda cronaca, s’incaricano di restituirci un quadro desolante.

La Boschi, per la quale avrei sfidato persino le malandatissime cozze rosicone, quelle con il punto G  sepolto nel 18 Brumaio di Karl Marx,  capaci di autoerotismo solo a bordo della nostalgìa hard dei Consigli di fabbrica di Porto Marghera, non merita supplementi di simpatia.

Neanche la difesa dall’assalto di frotte di cessette , issate su mocassini a tacco 4 quadrato, che si arrapano a leggere la Mazzantini. E che riescono a stanare , al netto del fiuto dei cani molecolari, financo le obliquità addominali di Franceschini.

Nessuna indulgenza . Del resto, la tentata riscrittura della Costituzione ha fruttato a Maria Elena la stessa audience che incassò  Luca Sardella , su Rai Uno, con la Fenomenologia della barbabietola molisana. 

Virginia, d’altro canto, non ha vergato sin qui pagine memorabili, nella vicenda repubblicana.

Sotto  sotto c’è sempre il rapimento estatico. Più che lo struggimento lirico di Karenina , nel senso di Anna, l’inutile candore delle eroine d’appendice di Liala. 

Lei è una gregaria romantica. Creatura che mima sublimi sbigottimenti. Altro che sommossa emancipante femminista! Mai un guizzo , uno starnuto di talento, un fiotto assertivo ! Un indizio di rudimento politico. Ad ogni buon conto, Gesù tramutava l’acqua in vino. Attitudine che il Nazareno deve aver mutuato da  Grillo. Stavolta , però,  è dura. Anche per uno come Beppe.

  La Raggi non strabilia : questo è il punto. Al netto delle sue innocenze , da intendersi in senso lato.

E pensare che, per lei,  avrei ingaggiato singolar tenzone persino con Roberta Lombardi, sospettata- a sua volta- di averle taroccato il volumizzante per capelli piatti , attraverso l’aggiunta di un micidiale lisciante (Carla Monteforte dixit).

Virgo e Maria Elena, in qualche modo, sono la gigantografia di una sfida persa. Che ci riguarda da vicino. E che convoca la biografia “femminista” di più generazioni. Dovevamo assaltare il cielo e, invece, ci siamo schiantate a bordo della nostra nuvola di cipria.

Non che i maschi  siano meglio. Anzi! Se non altro, però, si guardano bene dallo sventolare “il valore aggiunto testosteronico”. E come potrebbero, porelli…

Di qui, l’imperativo categorico : Fuori le donne dal Palazzo! Almeno fino a quando non decideranno di far fuori dalla sensibilità pubblica quel languido, ancestrale “femminino” “, così poco consono alla Parola laica e “neutra” della Politica.