Senza categoria

I partigiani insegnano la democrazia. Sì, quella sovietica!

UnknownLA VERSIONE DI MUGHINI – A PROPOSITO DEGLI EX PARTIGIANI FAVOREVOLI AL “NO” AL REFERENDUM, DIRE CHE “INSEGNANO LA DEMOCRAZIA” (COME FA ‘IL FATTO’) E’ UNA STRONZATA GRANDE COSI’. LA BUONA PARTE STAVA CON L’URSS COMUNISTA, E AVREBBE TANTO VOLUTO CHE A GUERRA FINITA L’ITALIA SOMIGLIASSE ALL’URSS

Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia

Caro Dago, padrone ovviamente ciascun ex partigiano italiano di votare come vuole al prossimo referendum sulle modifiche costituzionali, se votare “sì” o “no”, o meglio se votare pro-Renzi o contro-Renzi, dato che a questo si riduce il conclamatissimo referendum. Detto questo il titolo che ho letto ieri sera sul “Fatto”, e cioè che gli ex partigiani favorevoli al “no” è gente che ancor oggi “insegna la democrazia” è una stronzata grande così.

La buona parte degli ex partigiani (ossia di coloro che si schierarono dalla parte “giusta” nella guerra civile 1943-1945, e non c’è dubbio che fosse la parte “giusta”) non avevano niente a che vere con una benché esile idea della “democrazia”. Loro stavano dalla parte dell’Urss comunista, e avrebbero tanto voluto che a guerra finita l’Italia somigliasse all’Urss. Altra che “democrazia”. E poi c’è che i partigiani non erano affatto identici l’uno all’altro, e i partigiani comunisti e i partigiani azionisti e i partigiani comunisti. Furono dei partigiani comunisti pro-Tito a massacrare dei partigiani liberali quali il fratello di Pier Paolo Pasolini e lo zio di Francesco De Gregori, delinquenti politici che nel dopoguerra l’hanno fatta franca. Non era affatto un seguace della “democrazia” il gappista comunista Dante Di Nanni, un eroico combattente che a Torino preferì buttarsi giù da un balcone anziché cadere vivo nelle mani dei fascisti che lo avevano circondato.

Non era un seguace della democrazia un combattente formidabile e da me ammiratissimo nella mia giovinezza quale Giovanni Pesce, il cui libro sulle azioni dei gap era un “livre de chevet” dei terroristi rossi degli anni Settanta, tanto che il quotidiano “Lotta continua” ne pubblicò un brano all’indomani dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi, come a far capire che quello che avevano fatto alcuni di loro aveva dei precedenti illustri nella guerra civile del 1943-1945. Beninteso io ho continuato ad ammirare Pesce pur dopo aver detto “addio” ai compagni della mia giovinezza. Solo che la democrazia non c’entra nulla, e difatti fino alla fine della sua vita lui continuò ad aderire a partiti italiani che più “comunisti” di così non si può. Beninteso, lui non aveva alcuna colpa che quegli idioti di terroristi volessero imitare le sue azioni di trent’anni prima.

La faccio breve. All’indomani del 25° aprile 1945 la qualifica di ex partigiano non voleva dire più nulla sull’Italia del presente. La diade avversativa fascismo-antifascimo era morta e sepolta, e questo semplicemente perché dopo il 25 aprile 1945 il fascismo storico era morto e sepolto. C’era invece in atto, nel cuore e nella realtà concreta dell’Europa, un crimine politico di entità eguale al fascismo, quel regime comunista che i carri armati dell’Urss vittoriosa avevano esportato in Polonia, in Ungheria, in Cecoslovacchia, nella Germania dell’Est, in Romania, in Bulgaria. E sui crimini e sulla vergogna morale di quei regimi c’è adesso una biblioteca grande così, e se uno omette l’insegnamento che viene dalla quella biblioteca o è un cretino o è un mascalzone. Sia detto con rispetto per le persone, l’Anpi è un monumento al passato, niente che abbia a che vedere con il presente. Lo stesso vale per il Sessantotto, da cui io mi sono dimesso nel 1969 quando mi accorsi che razza di idioti erano divenuti alcuni dei miei coetanei (alcuni dei quali futuri terroristi e assassini). Non vuol dire nulla dirsi “sessantottino”, in quegli eventi e in quegli exploit ce ne eravamo di tutte le etnie e di tutte le carature intellettuali. Lo stesso vale per gli ex partigiani.

Ciascuno risponde di se stesso e dei suoi pensieri e della sua etica. In quanto ex “partigiano” non ha nulla da insegnare a nessuno, se non il fatto che ebbe coraggio nel 1943-1945, un coraggio di cui noi tutti italiani siamo loro grati. L’espressione cara ad alcuni babbei, “L’Italia nata dalla Resistenza”, non vuol dire nulla di nulla. La guerra che ci liberò dai nazisti la vinsero gli aerei alleati che bombardarono a sangue il quartiere romano di San Lorenzo ma anche l’Abbazia di Montecassino, dove credevano fossero annidati i cannoni e le mitragliatrici nazi che puntavano dall’alto. E comunque i primi ad arrivare a Montecassino furono i combattenti polacchi, quelli che volevano vendicare la sconfitta del settembre 1940, quando i nazisti entrarono in Polonia da un lato e i comunisti russi dall’altro.

Niente a che vedere con una possibile “democrazia” del Terzo Millennio. Ma che c’entra l’Anpi e il referendum e le difficilissime scelte di oggi, un oggi che non era mai esistito nella storia dell’umanità, con le mappe del 1943-1945, con gli eroismi di allora, con i sacrifici di allora, con i plotoni di esecuzione di allora? Eroismi e sacrifici ai quali io e la mia biblioteca portiamo tuttora il massimo rispetto. Quanto al votare “sì” o “no” il prossimo autunno c’entra nulla. Proprio nulla. Zero.

Giampiero Mughini