Attualità

Addio ad Antonio Tabucchi

In onore allo spirito di Calcydros che si propone dare voce a chiunque voglia, nei termini della decenza e delle regole civili, esprimere il suo pensiero, pubblichiamo questa lettera di  Tabucchi proposta da Littorio Mangano nella sezione suggerimenti.

 

TABUCCHI | Lettera aperta al Presidente della Repubblica sull’Italia dei cittadini e l’«Italia di merda»

di Antonio Tabucchi, da MicroMega 2/2001

Illustrissimo Signor Presidente,
il nome proprio che designa un Paese può essere usato in compagnia di vari aggettivi e significati. Esempi: un aggettivo geografico obiettivo (la Francia è un paese esagonale), un significato antropologico esaltativo (l’Italia è un paese di santi, di navigatori e di poeti), un aggettivo economico rallegrante (gli Stati Uniti sono un paese ricchissimo), un significato economico sconsolato (l’Abissinia è un paese affamato), in termini militari critici (l’ex Jugoslavia è un paese facinoroso), uno specificativo politico spregiudicato (l’Afghanistan è un paese di merda) eccetera. Anche l’Argentina di Videla era un paese di merda, ora non lo è più: Lei lo sa meglio di me perché l’ha visitata recentemente.

Similmente «Nazione» è un termine di vasto significato. Il Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia così lo definisce: «Gruppo umano di presunta origine comune ed effettivamente caratterizzato dalla comunanza di lingua, di costumi e di istituzioni sociali ed eventualmente unificato e consacrato in forma politica o pre-politica». Esso è qualcosa di propriamente diverso da un vocabolo che esprime un concetto a lui precedente e in qualche misura superiore: la parola «Popolo». Quando Lei si dirige con un discorso ufficiale all’Italia, Lei parla al Popolo italiano, così come quando un giudice emette la sentenza di un tribunale lo fa «in nome del Popolo italiano», e cioè a nome di tutti quei cittadini che sono raccolti nei confini di uno Stato e che sono soggetti alle leggi e alle istituzioni di quello Stato. Non a caso il termine «Nazione», con sapore più ufficiale e politico (e con la sua variante di Patria), è stato usato in circostanze esaltanti per quel Paese (l’Indipendenza, l’adesione all’Onu eccetera) o in tristi circostanze, allorché un governo (o un singolo individuo) prendeva decisioni che non scaturivano da una diretta volontà del Popolo ma rispondevano a scelte politiche o istituzionali a cui quel Popolo era subordinato. Gli esempi nella nostra Europa sono numerosi: Francisco Franco non si autodefiniva Caudillo per volontà del Popolo spagnolo, ma per la Patria e la Grazia di Dio; la raccolta delle fedi nuziali durante il regime fascista era «l’oro per la Patria»; Milosevic, fino al momento della caduta del suo regime, ha sempre agito in nome della «Nazione Jugoslava».

Ora succede che alcuni giorni or sono un attore italiano, Daniele Luttazzi, in un programma televisivo, rivolgendosi a un giornalista che presentava un libro di documenti, in giro da mesi e mai denunciato da chicchessia, abbia pronunciato questa frase: «Apprezzo il suo coraggio in quest’Italia di merda». Tale frase si è attirata il rimprovero di alcuni politici, dei presidenti della Camera e del Senato (e, stando ai giornali, anche la Sua riprovazione, Signor Presidente), ma soprattutto ha valso al signor Luttazzi una denuncia per vilipendio alla Nazione. Vorrei sottolineare il fatto che tale denuncia non è venuta da un singolo o più cittadini italiani che si sono sentiti lesi nella loro dignità, ma da una Procura della Repubblica, la quale evidentemente ha creduto di farsi interprete della collettività del Popolo italiano. E che Luttazzi non sia stato denunciato da singoli cittadini, ma da una Procura è logico, perché è evidente che con la sua frase egli non si riferiva tanto ai cittadini italiani quanto alle Istituzioni che reggono il nostro Paese. Se durante il regime franchista un cittadino spagnolo avesse detto: «Questa Spagna di merda», non si sarebbe riferito, evidentemente, al popolo spagnolo nella sua collettività, ma al regime che quel popolo doveva sopportare. Analogamente un cittadino jugoslavo che durante il regime di Milosevic avesse detto «questa Jugoslavia di merda», non si sarebbe riferito a tutti i suoi connazionali, ma al regime di Milosevic, che teneva in suo potere la Jugoslavia. (Vorrei far notare per inciso che quando la Nato ha bombardato Belgrado non ha fatto sottili distinzioni fra coloro che imponevano il regime di Milosevic e coloro che lo subivano, coloro che dicevano «questa Jugoslavia di merda», cioè gli stessi che proprio in questi giorni hanno arrestato il dittatore e ai quali sicuramente qualche bomba è pure toccata. Ma questa è una questione fuori tema rispetto al motivo per cui Le scrivo questa lettera.)

Il motivo per cui Le scrivo, Signor Presidente, è un’analisi di questa nostra Nazione, cioè delle Istituzioni e dei Governi che hanno retto e reggono il Popolo italiano. E credo che ciò sia non solo consentito, ma legittimo per un cittadino di questo Paese. La mia analisi prevederebbe un lungo elenco e cercherò dunque di essere sintetico. Essa comincia dall’infanzia della Repubblica, a dimostrazione che lo Stato in cui era stata concepita non era un padre esemplare. A tal punto che oggi, a 55 anni dalla sua nascita, si potrebbe dire che l’Italia non è una Repubblica fondata sul lavoro, ma una Repubblica fondata sulle stragi. La prima è quella di Portella della Ginestra, del 1947, quando la Repubblica muoveva appena i primi passi. Essa fu attuata fisicamente dal bandito Giuliano, che difendeva gli interessi reazionari degli agrari e dei separatisti siciliani (cito dall’Enciclopedia Universale Garzanti). Ma Giuliano fu ucciso dal suo cugino e luogotenente Gaspare Pisciotta, che avrebbe potuto fare i nomi dei mandanti. Solo che costui morì avvelenato in carcere e i mandanti rimasero sconosciuti. Si trattava ovviamente di un carcere italiano. Testo integrale su http://temi.repubblica.it/micromega-online/tabucchi-lettera-aperta-al-presidente-della-repubblica-sull%E2%80%99italia-dei-cittadini-e-l%E2%80%99%C2%ABitalia-di-merda%C2%BB/