Economia

Articolo 18: Pressing del Governo

L’articolo 18 sembra essere il principale argomento di discussione da qualche giorno a questa parte. Ricordiamo che uno degli argomenti che il nuovo governo presieduto da Mario Monti mise in evidenza subito dopo il suo insediamento, è la riforma del lavoro. Ma di riforma del lavoro (frase soft per definire l’abolizione dell’articolo 18)  se ne è parlato nella famosa lettera della BCE, con Berlusconi ancora al governo. L’Europa ci chiede tale riforma da parecchio tempo e solo in questo periodo di grave crisi ha intensificato la richiesta (oppure è solo da poco che la stampa ha dato risalto alla questione). Già un timido tentativo lo fece il governo Berlusconi periodo 2001-2006 nel cercare di cominciare a preparare il terreno per una possibile riforma dell’art. 18 con Marco Biagi in prima fila nel cercare soluzioni che potessero essere accettate dal sindacato (sappiamo bene come è finita).

Ma perchè in Italia, praticamente caso unico al mondo, esiste una simile legge a tutela dei lavoratori dipendenti?  In altri paesi economicamente sviluppati esistono forme di tutela dei lavoratori, ma niente in confronto a quanto avviene da noi. La questione è che in Italia negli anni ’70 si è verificato un forte contrasto politico-sociale, una società politicamente divisa in maniera netta e conflittuale nella quale si sono inserite le lotte sindacali. Probabilmente, per tutelare proprio le masse di lavoratori fortemente sindacalizzate e politicamente attive si è introdotta una forma di tutela che garantisse a tali lavoratori la possibilità di fare “politica” senza subire conseguenze. 

Ma oggi è ancora valida questa visione delle cose? Sappiamo che i lavoratori tutelati dall’ art. 18 sono una minoranza (forte ma sempre minoranza) poichè la stragrande maggioranza delle imprese italiane ha meno di 15 dipendenti e quindi non soggetta a tale articolo. Sappiamo che con la legge 30 e prima ancora con la legge Treu, si sono introdotte forme di precariato che servono proprio a by-passare l’art. 18, sappiamo che, in caso di difficoltà dell’azienda a rischio chiususra, ci sono forme di riduzione del personale come prepensionamenti, mobilità ecc. e quindi anche in questo caso l’art. 18 è superato. Ma allora perchè questo “accanimento”?  Sappiamo che con l’Euro non possediamo moneta sovrana, lo stato non può coniare nuova moneta e quindi la liquidità di uno stato è garantita da investimenti provenienti soprattutto dall’estero. All’estero l’art. 18 è sempre stato visto come un ostacolo ad investire in Italia, ma finchè c’era la Lira poco male, con l’Euro le cose cambiano. Ma soprattutto, a mio avviso, la riforma dell’articolo 18 va visto sotto un altro aspetto: i lavoratori statali. Abbiamo un apparato statale imponente per non dire mastodontico, ma anche macchinoso, inefficiente, clientelare e dispendioso. Per ottenere il pareggio di bilancio e mantenerlo negli anni a venire, un passaggio obbligato è ridimensionare l’apparato amministrativo dello stato. Ma gli statali, oggi come oggi, non puoi mandarli via in nessun modo. Allora che fare? senza art. 18 tutto diventerebbe più semplice. Da questo si spiega pure come mai la CISL, probabilmente il sindacato nazionale più moderato che ci sia, è così aggressivo sulla questione, sembra addirittura più estremista della CGIL quando si parla di art. 18. Come mai? e per forza! è il sindacato di gran lunga più rappresentativo per i lavoratori statali. No art 18? no CISL!

Gustavo Kulpe