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da Il Legno Storto.com

La notizia, pubblicata sul sito “Terrasanta.net”, è davvero troppo ghiotta e credo sia opportuno non trascurarla. Accade che per la prima volta nella storia dell’Egitto un cittadino musulmano andrà in giudizio per aver denigrato la religione cristiana. Il quotidiano cairota al-Ahram riferisce, infatti, che il predicatore salafita Abu Islam Ahmed Abdullah dovrà recarsi in tribunale il prossimo 14 ottobre per difendersi dall’accusa succitata.

Il predicatore ha bruciato l’11 settembre scorso alcune copie del Nuovo Testamento dopo la diffusione dell’ormai celebre film L’innocenza dei musulmani, e lo ha fatto di fronte all’ambasciata USA del Cairo.

Abu Islam Ahmed Abdullah è, tra l’altro, anche un imprenditore televisivo proprietario del canale satellitare Umma, diventato famoso per trasmettere programmi in cui compaiono soltanto donne velate secondo le regole islamiche più rigide.

L’accusato si è già recato in tribunale per la prima udienza domenica scorsa sostenendo di aver bruciato copie del Vangelo in lingua inglese, e non quello in arabo approvato dalla chiesa copta egiziana, ma pare che le sue argomentazioni non abbiano convinto i giudici.

Autori della denuncia a suo carico due avvocati laici del Cairo che, sfidando il clima di intolleranza attualmente prevalente, hanno ritenuto giusto denunciare l’accaduto. Pare sia appunto la prima volta che in Egitto si verifica un fatto simile. Finora le accuse erano sempre a senso unico: tanti i cristiani copti denunciati per denigrazione dell’Islam, nessun musulmano citato in giudizio per denigrazione del cristianesimo.

Colpisce anche una seconda notizia. Il primo ministro egiziano Hisham Qandil ha rilasciato una dichiarazione sulla vicenda di alcune famigle copte che, dopo essere state minacciate di morte da islamici radicali armati, hanno abbandonato le loro abitazioni.

Pure in questo caso Qandil ha assunto una posizione coraggiosa affermando che «le istruzioni date alle autorità egiziane sono di proteggere i fratelli copti, ovunque si trovino». Le famiglie copte minacciate vivevano nella regione di Rafah, al confine con la Striscia di Gaza. Il primo ministro ha aggiunto che non sono state “deportate” come pareva in un primo momento, ma hanno abbandonato spontaneamente le loro case temendo per la propria vita.

Ovviamente non sappiamo se il predicatore salafita verrà davvero condannato, si possono nutrire dubbi in proposito. Né è possibile prevedere se le famiglie copte potranno tornare nelle loro abitazioni.

Mi pare tuttavia che le due notizie – e soprattutto la prima – lascino finalmente intravedere qualche spiraglio di luce dopo i fatti di Bengasi e l’ondata di violenze che ha attraversato di recente l’intero mondo islamico. Si spera nel recupero di un minimo di ragionevolezza e nel riavvio di un dialogo che al momento appare ancora bloccato.